GACETILLAS ARGENTINAS
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¡ LIBERTAD A LOS CINCO !
JORGE JULIO LÓPEZ Y CARLOS FUENTEALBA ¡ PRESENTES !!!!
¡¡ NO AL CIERRE DEL BAUEN !!
NEWSLETTER - INTERNACIONALES - 06/05/08 - PRIMERA EDICION
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SUMARIO
1 - ITALIA: CANTANDO CÉSAR VALLEJO - CON LA VOZ DE LATINOAMÉRICA, TANIA LIBERTAD GLI SCRITTORI PERUVIANI INVADONO TORINO !!!, POR NUOVO ORIZZONTI LATINI.
2 - PARAGUAY: REFERENDUM. UNA TRAICION A LA PATRIA... - CARTA DEL DR. MARTÍN ALMADA AL SR. EMBAJADOR DE LA REPÚBLICA DE BOLIVIA EN PARAGUAY.
3 - PERÚ: OPINIÓN - DERECHOS HUMANOS, POR RAÚL WIENER (PERÚ).
1
Fecha: Domingo, 04 de Mayo de 2008 06:07 p.m.
Para: Associazione Culturale Nuovi Orizzonti Latini
Asunto: CANTANDO CÉSAR VALLEJO - CON LA VOZ DE LATINOAMÉRICA, TANIA LIBERTAD GLI SCRITTORI PERUVIANI INVADONO TORINO !!!
Vi aspettiamo numerosi, grazie!
Claudia Torres,
gorée-magazine 2 maggio 2008
In questo numero:
Speciale Fiera Internazionale del Libro di Torino 2008
Il calendario delle iniziative di Gorée p. 1
La grande letteratura peruviana alla Fiera del Libro:
Il ritorno di César Vallejo di Antonio Melis p. 2
Le schede
Vol. I: Gli araldi neri – Trilce p. 3
Vol. II Poemi umani – Spagna, allontana da me questo calice p. 4
La poetica di José Luis Ayala di Riccardo Badini p. 5
La ballata di Dante, intervista con Eduardo González
Viaña di Geraldina Colotti p. 8
Cantando César Vallejo p. 11
Contro l’aridità dell’anima. Intervista a Tania Libertad p. 13
Notizie:
Dopo Torino: Incontri con gli autori di Gorée p. 10
(ci trovate allo stand K 134)
Sabato 10 maggio, ore 11.00 Arena Piemonte (Fiera del Libro, Lingotto)
José Luis Ayala, presenta Muyu pacha / Tempo circolare
Con l’autore interviene Riccardo Badini, dell’Università di Cagliari
Sabato 10 maggio, ore 17.00 Libreria Thérèse, Corso Belgio, 49/bis
Incontro con José Luis Ayala
Reading di poesie tratte da Muyu pacha / Tempo circolare
Sabato 10 maggio, ore 21.00 Cortile del Maglio, Via Andreis, 18/10
Cantando Vallejo
Presentazione dell’Opera poetica completa di César Vallejo con reading di poesie a cui partecipano Eduardo González Viaña, José Luis Ayala e Antonio Melis
Recital musicale di Tania Libertad
Domenica 11 maggio, ore 11.30 Arena Piemonte (Fiera del Libro, Lingotto)
Eduardo González Viaña
presenta La ballata di Dante
Con l’autore interviene Antonio Melis, dell’Università di Siena
Domenica 11 maggio, ore 18 Gran Balôn, Osteria del Balôn, Via Borgo Dora 28
Incontro con Eduardo González Viaña
Lunedì 12 maggio, ore 21 Sala Azzurra (Fiera del Libro, Lingotto)
Cantando Vallejo, concerto di chiusura della Fiera Internazionale del Libro di Torino con la partecipazione della cantante peruviana Tania Libertad ed il suo gruppo
Il concerto sarà accompagnato da un reading dedicato a César Vallejo, il più grande poeta peruviano di cui
Gorée pubblica l’Opera poetica completa
Al reading intervengono: Eduardo González Viaña, José Luis Ayala, Antonio Melis e Julio Montesinos
Richiedete il nuovo catalogo a: info@edizionigoree.it
Il ritorno di César Vallejo di Antonio Melis
Questa edizione dell’opera poetica completa di César Vallejo rappresenta un grande evento letterario almeno per due ragioni. Signifi ca infatti il recupero per il lettore italiano di uno dei più grandi poeti del Novecento, da molti anni assente dalle nostre librerie, dopo la sua pubblicazione integrale fra il 1973 e il 1976 presso le Edizioni Accademia. Al tempo stesso permette di restituire al pubblico una delle imprese traduttorie più importanti dell’ispanoamericanismo italiano. Roberto Paoli (1930-2000) aveva realizzato negli anni. Settanta l’edizione bilingue totale della poesia di Vallejo, dopo aver pubblicato già nel 1964 per Lerici un’ampia antologia del poeta peruviano, preceduta da uno studio introduttivo che ha le dimensioni di una vera e propria monografi a. Dopo l’edizione in due volumi, Paoli ha continuato a lavorare sulla sua traduzione. Lo dimostrano gli appunti manoscritti ai margini dei due volumi e le traduzioni di Vallejo inserite nella sua antologia Cent’anni di poesia ispanoamericana (1880 - 1980), Firenze, Le Lettere, 1993.
In questa ristampa si riportano gli interventi correttivi del traduttore – messi a disposizione dalla moglie Renata Innocenti, che fi n dall’inizio ha appoggiato con entusiasmo questo progetto – e in altri casi si cerca di interpretare la sua volontà di modifi ca, chiaramente indicata nelle sue annotazioni.
Il lavoro su Vallejo è il momento culminante di un’attività di traduttore svolta sia su testi spagnoli che ispanoamericani, classici e contemporanei. Paoli è stato uno degli ultimi, fra i nostri ispanisti, a dominare sia la letteratura peninsulare che quella sviluppata in terre americane. Oltre ai libri già citati voglio ricordare almeno l’antologia della poesia di Miguel de Unamuno (Vallecchi), la traduzione in versi de L’ingannatore di Siviglia di Tirso de Molina (Garzanti), le antologie di Lope de Vega (Einaudi), Sor Juana Inés de la Cruz (BUR), Pablo Neruda(BUR), Carlos Germán Belli (In Forma di Parole), José María Eguren (In Forma di Parole).
Accanto all’intensa attività saggistica, rivolta in buona parte alla letteratura peruviana, ma anche ad autori come Jorge Luis Borges, Miguel Ángel Asturias, Gabriel García Márquez, l’esercizio della traduzione era il centro della sua vita intellettuale. La versione dei testi era per lui uno strumento quotidiano di appropriazione e di interpretazione, indipendentemente dall’esistenza di un progetto già defi nito di pubblicazione.
Per questo sarà importante riscattare le traduzioni inedite, sicuramente presenti in grande quantità fra le sue carte.
Fin dalla prima edizione parziale del 1964, la lotta con l’arduo testo di Vallejo rivela uno stile traduttorio fortemente connotato. Paoli, sempre attento agli sviluppi della rifl essione teorica sulla letteratura, ha avuto tuttavia una sana insofferenza per le teorizzazioni astratte sulla traduzione, spesso elaborate da chi non si è mai cimentato direttamente con il duro lavoro “sul pezzo”. Questo non signifi ca che non si possa rintracciare nelle sue scelte una decisa opzione metodologica, che si è andata consolidando nel corso degli anni. Di fronte a una poesia come quella di Vallejo, che ha rappresentato una sfi da esaltante per i traduttori in tutte le lingue, egli opera una scelta di grande equilibrio. La percezione dell’alterità di questi testi (“A lo mejor, soy otro” “Forse, sono un altro” è il lancinante incipit di uno dei Poemas humanos) è in lui molto nitida e si andrà rafforzando progressivamente con l’apertura a una visione antropologica della letteratura, consolidata attraverso il rapporto sempre più stretto con la cultura andina. Al tempo stesso la sua formazione letteraria a tutto campo, nel segno della Weltliteratur, gli permette di cogliere e di restituire in italiano il peso della tradizione. In primo luogo, naturalmente, il substrato spagnolo, in particolare quello che risale all’esempio del grande poeta barocco Francisco de Quevedo, una delle presenze più intense nella poesia di Vallejo.
A questo si aggiunge l’impegno costante a conservare i valori ritmici di testi, come questi, che spaziano dalla metrica regolare e dall’impiego in alcuni casi della rima fi no al verso libero e alla prosa poetica.
L’organizzazione delle prime due raccolte, comprese nel primo volume, rispecchia fedelmente la prima edizione, con un’unica inversione d’ordine fra due poesie di Los Heraldos Negros: “Capitulación” e “Desnudo en barro”. Ben diverso è il discorso che riguarda i libri postumi del poeta. Le edizioni più recenti e autorevoli hanno concordemente ristabilito l’unità dei Poemas humanos, ricomprendendo al loro interno i Poemas en prosa. Hanno inoltre ricostruito l’ordine cronologico delle composizioni con maggiore precisione. Il punto di riferimento è rappresentato soprattutto dalle edizioni curate da Raúl Hernández Novás e da Ricardo González Vigil, per le quali si rinvia alla bibliografi a fi nale.
Le note ai testi sono naturalmente riordinate anch’esse in funzione di questo nuovo assetto del libro. Si è ritenuto invece giusto lasciare nella sua integralità lo studio introduttivo al II volume. Al di là di qualche riferimento a un testo come Poemas en prosa, che gli studi recenti hanno ricompreso all’interno di un’unità più ampia, l’impianto critico del saggio rimane pienamente valido e ne fa uno dei contributi più importanti alla critica vallejiana. Come molti traduttori di quegli anni, Paoli ha dovuto accettare alcune condizioni poste dalla vedova di Vallejo, Georgette Phillipart. Oggi è possibile prescindere da queste imposizioni, certamente ispirate dalla devozione profonda verso l’eredità del poeta, ma non sempre sorrette dal necessario rigore fi lologico. Per la stessa ragione si è sostituita la biografi a da lei scritta, appassionata e densa di polemiche, con un sommario più obiettivo della vicenda umana di Vallejo. Così come è stata omessa la dichiarazione che Vallejo avrebbe pronunciato sul letto di morte. Paoli, mettendola in appendice al secondo volume, ricordava opportunamente che un critico e amico di Vallejo come il poeta peruviano Xavier Abril la considerava apocrifa. Senza entrare nel merito dell’autenticità della testimonianaza, resta comunque un testo che non ha nessun rapporto con le raccolte poetiche di Vallejo.
Naturalmente si è provveduto ad aggiornare la bibliografi a, segnalando le nuove edizioni delle opere di Vallejo e i principali saggi su di lui usciti negli ultimi anni. Anche in questo caso il punto di partenza è costituito dalle annotazioni manoscritte dello stesso Paoli, in vista di una eventuale ristampa nelle Edizioni Accademia.
Con la restituzione ai lettori italiani della poesia di Vallejo in una splendida traduzione iniziamo un percorso di riscoperta anche degli altri scritti del poeta. Dal romanzo “proletario” El Tungsteno al racconto Paco Yunque, dai réportages sulla Russia alle opere teatrali, c’è il lavoro costante e disperato di un peruviano trapiantato in Europa, che solo dopo la sua morte ha visto riconosciuta la sua statura di grande fra i grandi del Novecento,
Le schede
Volume I: Gli araldi Neri – Trilce
Il poeta peruviano César Vallejo (1892 - 1938), nato da famiglia meticcia nel villaggio andino di Santiago de Chuco e spentosi immaturamente a Parigi dopo un’esistenza tribolata, generosa e misconosciuta, emerge sempre di più come la voce più originale e profonda della poesia latinoamericana.
Il suo messaggio umano e poetico ha profonde radici nell’anima india, ma non nasce da un’intenzione bardica e celebrativa, esterna e, per così dire, paternalistica rispetto ai valori di un gruppo emarginato ed oppresso, bensì da un’originaria identità. Meglio ancora che negli Araldi neri, che pure contengono una diecina di splendide poesie, la genialità poetica dell’autore si afferma in Trilce, il libro forse più originale e fecondo dell’avanguardia postbellica.
Con esso, il lettore europeo (compreso lo spagnolo) si trova davanti a un linguaggio tanto inaudito e atipico quanto sommamente espressivo: non sono più gli strumenti dell’avanguardia, ad onta di ogni infl uenza: non è qualcosa che possa scaturire dalle esperienze di un movimento o gruppo letterario, ma è come il riaffi orare di una lingua sepolta e dimenticata. L’asse affettivo del libro è il ricordo della famiglia andina e, al centro di essa, della madre. La madre (o la donna amata, nella quale Vallejo ide tifi ca o proietta gli attributi materni) è nume di protezione e d’ordine, mediatrice, ormai perduta, tra lui e le cose del mondo. Il passato sì dilata fi no a diventare l’unico tempo interiore, tempo assoluto di connessione e di difesa, del quale il tempo esteriore è il rovescio abusivo e distorto. Infatti, fuori dalle coordinate degli affetti, il mondo si fa presente a Vallejo come caos e assurdo e l’ermetismo viene assunto in funzione di una determinata espressivìtà: corrispettivo di una visione scardinata e brutale, veicolo atto a rappresentare frantumazioni e capovolgimenti, linguaggio della follia del reale.
Cesar Vallejo, Opera poetica completa, (2 voll. in cofanetto), pp. 836, Euro 35.00
Volume II: Poemi Umani – Spagna, allontana da me questo calice
Con questo secondo volume si completa l’edizione integrale in testo bilingue delle poesie di César Vallejo (1892 - 1938).
Venuto in Europa dal nativo Perù nel 1923 e stabilitosi a Parigi, visse in maniera estrem mente precaria fi no alla morte prematura, a periodi bersagliato dalla malattia, quasi sempre assillato dal bisogno. Milita te comunista, fu perseguitato dalla polizia francese e sospettato di trostkismo dai suoi stessi compagni. A Parigi, in contrasto o in consonanza coi linguaggi coevi, ma essenzialmente fedele ai propri archetipi che sono ispanici e andni insieme, Vallejo verga i Poemi umani, un concitato, drammatico fascio di referti e di lastre della miseria e dei dolore, i cui versi scheggiati, lancinanti, implacabili, hanno aperto un nuovo capitolo nella storia dell’espressione poetica, sebbene la specificità dei loro messaggio estetico non sia stata adeguatamente riconosciuta. Anche se l’equazione sensazione = sofferenza non è esclusiva del poeta peruviano, il grado di adesione della parola alla sensazione in lui è maggiore, non operandosi alcun riscatto della sofferenza nel diletto consolatorio del verso.
Mai forse, prima dei Poemi umani, l’«altro» aveva fatto irruzione più violenta e corposa nell’intimo di un poeta. L’«anima», tradizionale tempio del soggettivismo, sacrale rifugio, torre e assenza, è violata e invasa dall’uomo miserabile e sofferente, analfabeta e disoccupato, il paria, il disprezzato, l’uomo «impoetico», il quale se ne impossessa e vi si insedia materialmente con tutto il suo enorme carico d’indigenza, d’infelicità e di rabbia.
Da ciò quell’emozione solidale che è un altro tratto specifi co di questa poesia; da ciò, ancora, quell’esigenza di un riscatto dell’uomo, che trova la sua espressione più intensa nei quindici componimenti di Spagna, allontana da me questo calice, uno dei poemi più vigorosi che abbia ispirato non solo la guerra civile spagnola, pur così prodiga di estri poetici, ma forse tutta la Resistenza europea. Ivi la retrospettiva disperata di Trilce si capovolge in una prospettiva di palingenesi universale e la morte si lascia fi nalmente comprendere nel sacrifi cio degli umili miliziani, mentre la consueta tensione formale è posta al servizio di una lotta visionaria che coi volge l’umano e il cosmico, ed è come sollevata da un respiro infi nito di profezia e di veggenza.
Lunedì 12 maggio, ore 21 Sala Azzurra
Cantando Vallejo, concerto di chiusura della Fiera Internazionale del Libro di Torino con la partecipazione della cantante peruviana Tania Libertad ed il suo gruppo
Il concerto sarà accompagnato da un reading dedicato a César Vallejo, il più grande poeta peruviano di cui Gorée pubblica l’Opera poetica completa
Al reading intervengono: Eduardo González Viaña, José Luis Ayala e Antonio Melis
La poetica di José Luis Ajala di Riccardo Badini
Nella formazione letteraria di José Luis Ayala (Hunacané, prov. di Puno 1942), ancora ventenne, intervengono direttamente due incontri, avvenuti a poca distanza l’uno dall’altro verso la metà degli anni ’60. José María Arguedas di passagio a Puno e Gamaliel Churata di ritorno dopo un lungo periodo di esilio, entrambi maestri dell’adozione culturale rivolta verso il mondo indigeno, discutono e si confrontano con il giovane studente aymara sul futuro della letteratura peruviana. I due autori avevano messo in atto in Perù, con modalità diverse l’uno dall’altro, una profonda sperimentazione linguistica che forzando le maglie della lingua spagnola, era riuscita a rendere giustizia del portato culturale indigeno andino. Sotto i loro auspici inizia il lavoro di uno scrittore che diventerà la voce più riconosciuta della poesia in lingua aymara.
Figlio di un maestro rurale José Luis Ayala, è cresciuto in un ambiente trilingue: quechua - aymara - spagnolo; durante l’infanzia trascorre lunghi periodi a contatto diretto con la popolazione contadina di Tumuku, dove il nonno possedeva delle terre. Inizia qui a compenetrarsi con la dolcezza e la fi erezza del mondo aymara e a far sua la causa della rivendicazione politico-culturale che ancora oggi anima la sua produzione sia poetica, sia saggistica o di narratore.
È proprio Arguedas, come racconta il poeta in un’intervista da me raccolta nel 2006, ad esortarlo verso gli studi linguistici e sociologici per raggiungere la pienezza espressiva in aymara e in spagnolo. Le due lingue, infatti, se da una parte, con la loro interazione diseguale, confi gurano la drammaticità dello scontro iniziato con la colonizzazione, dall’altra rappresentano entrambe legittimamente il veicolo principale per l’affermazione politico-culturale del popolo aymara.
Due universi ancorati in un rapporto di egemonia e subalternità imposto con violenza e sopraffazione, due distinte visioni del mondo e una lunga serie di malintesi fra le due culture.
Forse il più comune è quello che ci porta a vedere il mondo andino come silenzioso, taciturno e chiuso in sé stesso quando poi, all’interno della propria cultura, l’aymara risulta essere una lingua fortemente espressiva e con ampia possibilità di espedienti formali. Al punto che si risponde col silenzio come sanzione a chi non parla in modo corretto o scorrevole.
A quella capacità espressiva e a quella ricchezza metaforica attinge Ayala nelle sue poesie in lingua aymara conscio però, dell’inevitabile riduzione o riadattamento nel migliore dei casi, che i testi subiranno nel passaggio tra distinti codici culturali, meccanismi per altro già presenti nel processo di autotraduzione messo in atto dal poeta verso la lingua spagnola. Le poesie, infatti, che si presentano in questo libro costituiscono un’antologia delle raccolte pubblicate in forma bilingue dal 1981 al 1999.
Nelle lingue occidentali l’ampiezza semantica del campo metaforico, soprattutto nel linguaggio poetico dalle avanguardie in poi, si è dilatata orizzontalmente in modo pressoché infi nito grazie a un’estensione del rapport tra i termini della fi gura retorica. Si pensi alla defi nizione del surrealismo data da Breton come un incontro di un ombrello e di una macchina da cucire sopra un tavolo operatorio. Non avviene lo stesso in aymara dove i rimandi, anche all’interno di un uso creativo della lingua, si muovono prevalentemente nella concretezza del mondo naturale e però acquisiscono spessore nella dimensione della profondità, per la presenza costante di un alone semantico denso di sfumature diffi cili da cogliere e da rendere con i nostri strumenti linguistici. Nella poesia
Arunaka / Parole, per esempio, al primo verso compare il termine wilapacha, letteralmente tempo rosso, che rimanda contemporaneamente al colore del sangue, a quello del sole e alle tonalità che acquisiscono le nuvole al tramonto, con i dubbi che restano se cerchiamo le parole per descrivere i colori del cielo sopra il lago Titicaca, se proviamo a immaginare la risonanza di tale immagine per un parlante aymara o la profondità dei legami tellurici che un popolo a 4000 metri di altitudine stabilisce con l’ambiente naturale.
In ambito letterario, a parte rari esempi circoscritti al genere delle crónicas in epoca coloniale, la tensione dialettica tra i due mondi trova una forma di espressione a Puno negli anni ’20, ad opera del movimento avanguardista indigenista chiamato Orkopata e guidato da Gamaliel Churata di cui Ayala si riconosce erede. Erano tempi in cui gli impulsi provenienti dal pensiero di rottura europeo si fondevano inestricabilmente con le questioni identitarie confl uendo nel complesso fenomeno degli avanguardismi latinoamericani.
Con Churata a Puno le istanze di rinnovamento del linguaggio letterario si fondono con l’esigenza di esprimere dall’interno il mondo aymara e con la rivendicazione dei diritti indigeni, in un amalgama che, da una prospettiva ancora attuale, pone la questione dell’accesso alla modernità da parte delle culture autoctone latinoamericane. Nella letteratura proposta da Churata la comsovisione indigena infonde le sue regole alla trama della scrittura ponendosi in posizione antagonista rispetto al pensiero classico e biblico. Emerge una visione della realtà dove la dimensione collettiva prevale sull’individualità, un tipo diverso di logica avulsa dalla nostra metafisica e dai suoi dualismi e in cui le anime dei defunti, per esempio, sono percepite come entità reali, come semi che da sotto il terreno propiziano la salute della terra e dei suoi abitanti. Aspetti ancora oggi poco considerati dalla critica letteraria uffi ciale, affezionata a un repertorio ermeneutico di stampo eurocentrico e che a fatica trovano spazio nei nuovi immaginari globali, ma capaci di riemergere insistentemente, nella sfi da lanciata alla modernità dalle culture considerate “altre” o, tradotti in linguaggio poetico, nella voce di scrittori come José Luis Ayala. Spesso considerati come residui di un mondo arcaico dalle logiche che governano il processo di globalizzazione, tali principi rappresentano in realtà delle categorie di pensiero alternative.
Nella poesia Aylluna luräwipa / lavoro comunitario, l’intera struttura della composizione si appoggia sul principio dell’ayni che indica la pratica della reciprocità presente sia nella cultura quechua sia in quella aymara come fondamento delle relazioni sociali. Anteriore alla conquista e praticato al di fuori delle imposizioni statali incaiche, l’ayni, ha preservato la microeconomia comunitaria nelle numerose crisi attraversate dal Perù e sfi da oggi le regole del libero mercato, consentendo alle comunità indigene la sopravvivenza.
Simile alla nostra idea di solidarietà e di scambio reciproco senza interesse, questo principio di convivenza è codificato all’interno della cultura andina sino a diventare una categoria culturale fondamentale. Regola, infatti, i rapporti con la Pachamama: la madre terra, e con le altre sfere della realtà come sono il manqha pacha: il mondo di sotto nel quale forzatamente i missionari cattolici hanno insinuato il concetto di inferno, e l’alax pacha: il mondo di sopra o il cielo.
Viva testimonianza di questo pensiero si trova in gran parte della poetica di Ayala dove la relazione con la natura emerge costantemente a conforto della disperata condizione umana. Il profondo rispetto verso la madre terra, che non può nemmeno essere arata senza prima chiederle il permesso, chiarisce ulteriormente il principio dell’ayni, come consapevolezza anche, di una sorta di consustanzialità , di condivisione dei fenomeni tra le manifestazioni della natura in cui gli esseri umani sono pienamente inclusi; si spiega in tal modo l’equivalenza tra la considerazione verso l’ambiente, verso gli altri ecc. e quella nei riguardi di se stessi.
La reciprocità con il mondo dei morti è un’altra costante della scrittura di Ayala che nel mondo di sotto, popolato da entità sfuggenti alle categorie di bene e di male e dalle persone scomparse, cerca la vita e il futuro per il suo popolo. Nella cosmovisione aymara il manqha pacha è strettamente collegato con l’antico periodo del Chullpa pacha , epoca precedente alla conquista da parte degli incas, è in questo spazio-tempo (il termine pacha, si applica, infatti, sia a suddivisioni spaziali che temporali) che la mentalità popolare pone la speranza di un riscatto e di un futuro migliore. Nel mondo aymara la percezione dello spazio e del tempo è profondamente diversa da quella della nostra cultura: l’uomo andino si trova in posizione frontale rispetto al passato, mentre il futuro, non conosciuto, rimane invisibile dietro le spalle. Visione talmente connaturata da trovare corrispondenza nelle categorie grammaticali dove non esiste una netta separazione tra i tempi del presente e del passato. Ayala rende questi concetti in forma poetica. Nelle poesie Jupanaka / Loro e Muyu Pacha / Tempo Circolare la convivenza con gli estinti, che vediamo riacquistare una dimensione terrena e riprendere posto nei luoghi familiari seguendo le spire di un tempo che sembra avvolgersi su se stesso, assicura la continuità e la riaffermazione culturale. Sono anime col corpo ferito e i vestiti stracciati che in una resurrezione laica e indigena tornano a parlare da dentro il sangue dei vivi. Inevitabile il rimando ad altre raccolte dello stesso autore, questa volta in lingua spagnola, come Poesía Cotidiana / El poeta en Tlateloco pubblicata nel 1998, nelle cui pagine il poeta interroga le rovine maya sul destino dei popoli americani ed evoca il massacro degli studenti di Tlateloco avvenuto nel 1968, affi nché questi continuino a vivere e a protestare nella poesia.
Esula da questa antologia il versante poetico nella sola lingua spagnola che rappresenta l’altro universo linguistico culturale della natura meticcia di José Luis Ayala, aymara urbano e cittadino del mondo. È nella lingua dei conquistatori che l’autore percorre a fondo le strade dell’innovazione formale, adesso rivolta a cercare effetti visivi o a sovvertire la linearità logica della scrittura.
Si profi la uno spirito avanguardista che va oltre i limiti storici dei movimenti letterari e che ricorda le esperienze punegne degli anni ’20, con il confl uire delle istanze di rivoluzione sociale insieme a quelle di rinnovamento del linguaggio. Si tratta di un’avanguardia che attecchita in una zona periferica e ribelle del Perù non è mai fi nita, sostenuta dal costante bisogno di nuove forme espressive per continuare a rendere la realtà andina. Una razionalità, quindi, di altra provenienza sta sotto i testi in spagnolo, che risulteranno spesso decostruiti: con le pagine del libro tagliate in tante strisce quanti sono i numeri dei versi per essere lette in forma combinatoria, o con testi che si dispongono a formare disegni, invitando il lettore a rifl ettere sul grafocentrismo delle culture che hanno imposto la scrittura e a smontarlo.
All’interno di questo processo di appropriazione la lingua egemone si presta alle esigenze culturali aymara rivelandosi come l’altro canale attraverso cui passa la stessa operazione di riscatto portata avanti dal poeta.
La rinascita di una poesia in lingua indigena è il fenomeno più rilevante degli ultimi decenni nel panorama letterario latinoamericano, rappresenta inoltre solo un aspetto di un profondo mutamento che sta investendo la sensibilità politica del continente; non è da sottovalutare a riguardo la svolta epocale impressa in Boliva nel 2005 dall’elezione di un presidente aymara. Le popolazioni autoctone, attraverso un diffi cile processo di autodeterminazione, lasciano il ruolo di oggetto di studio o di referente letterario, per trasformarsi in soggetti attivi nell’affermazione dei propri diritti: territoriali, politici, culturali ed educativi.
La risonanza nell’immaginario di questa diversa sensibilità la lasciamo suggerire alle parole del poeta, ai suoi sentimenti fi ltrati da un’estetica che il traduttore percepisce estraniante nel suo non poter cogliere quali corde vibrino grazie una determinata immagine nel suo mondo di appartenenza. Se la donna paragonata a un fagiolo tenero o a una pannocchia matura nella poesia Pantipantin munasitapa / erba fresca quanto ti amo può evocare l’amorosa quotidianità che Saba ritrova negli aspetti umili della moglie, difficile è capire quale tipo di freschezza o fragranza richiamino tali immagini per un parlante aymara. Lo stesso succede per la resa degli altri nodi tematici della poesia di Ayala che, sebbene universali, come il mito o la nostalgia dell’infanzia, sono espressi dall’interno di un altro sistema di riferimenti; anche quando si tratta semplicemente di sapori, ed è il caso dell’argilla commestibile o della patata in un paese che ne conosce circa cinquanta varietà. O l’incanto della sirena che nelle pagine di questa raccolta rimanda a un mito dell’universo andino come spiegato nella nota 11 a quale universo appartiene? O a quali sincretismi che la storia ha fatto sedimentare?
Il rapporto con l’altro espresso nelle poesie Juma / Tu e Naya / Io, negli aspetti dell’accoglienza, del riconoscimento, dell’immedesimazione sino a che quasi sparisca confi ne tra le due persone, occupa nella raccolta una posizione centrale. Per capirne i risvolti dobbiamo addentrarci nelle strutture della grammatica aymara dove nel sistema personale è il tu a rivelarsi più importante nei confronti dell’io. Sempre presente è, infatti, l’attenzione verso la seconda persona o verso chi ascolta o riceve l’azione di un verbo e non esistendo una separazione netta tra soggetto e oggetto le azioni si risolvono piuttosto in interazioni. Ma queste differenze che di per sé sembrano assumere dei valori poetici sono sicuramente percepite in modo normale all’interno dei codici linguistici aymara.
Tra familiarità e estraneamento in questo procedere come lettori e traduttori seguiamo il percorso di Ayala, torniamo con lui sulle tracce della sua infanzia dove un altro bambino lo aspetta, ci riconosciamo, ne condividiamo le passioni sociali.
E di questo si tratta: riconoscere e prestare voce ai simboli degli altri, alla loro realtà.
José Luis Ayala, Muyu pacha / Tempo circolare, pp. 104, Euro 10,00
Sabato 10 maggio, ore 11.00 Arena Piemonte
José Luis Ayala, presenta Muyu pacha / Tempo circolare
Con l’autore interviene Riccardo Badini, dell’Università di Cagliari
Lo scrittore peruviano Eduardo González Viaña intrattiene il pubblico durante una presentazione del suo romanzo La ballata di Dante, che racconta le periferie di un immigrato messicano negli Stati Uniti, dove Viaña risiede oggi. Ironico, polemico, brillante, Viaña
Negli States sull’asino zoppo di Geraldina Colotti dialoga con l’ispanista Antonio Melis, duetta con la traduttrice Lucia Lorenzini, discute con lo scrittore Renato Prada Oropeza sull’importanza crescente della letteratura chicana: quella dei migranti ispanici di terza generazione, che si esprime in una lingua nuova – né spagnolo né inglese –, e che permea La ballata di Dante. “Negli Stati uniti il settimo cognome più diffuso è García, ma i governanti straparlano, non sanno niente di noi. Condoleeza Rice, poco tempo fa ha detto ai peruviani: voi siete un popolo simpatico, avete tanto petrolio, peccato abbiate un presidente così antipatico come Hugo Chavez!”.
E strappa l’applauso, poi accetta di rispondere alle domande di Alias. Dante, Beatriz e un asino zoppo di nome Virgilio, coscienza critica di un viaggio picaresco negli States degli immigrati ispanoamericani. Cosa c’entra la “Divina Commedia” coi migranti messicani?
Quando ero piccolo vivevo in un villaggio vicino all’oceano e mio nonno mi leggeva la Divina Commedia perché – diceva – un bambino può capire in qualunque lingua un capolavoro della letteratura. Cosi si è radicato in me il sogno di scrivere una storia che tutti potessero capire e riconoscere.
Poi sono cresciuto, ho viaggiato in molti paesi del sud. Ultima tappa, gli Stati uniti, dove mi sono recato per ragioni politiche, e dove insegno. li ho trovato la storia che stavo cercando.
Ho scoperto che ci sono persone che attraversano tutte le tappe dell’inferno e del purgatorio alla ricerca del paradiso: sono gli immigrati latinoamericani. Una volta ero in un parco di Salem, la città in cui vivo, e stavo leggendo un libro seduto su una panchina. In quella di fronte c’erano due belle donne che ridevano fi no ad avere le lacrime agli occhi.
Una avrà avuto quarant’anni, l’altra venti. Il riso è contagioso e, senza un motivo, cominciai a ridere anch’io.
Mi cadde il libro dalle mani. Allora mi presentai alle due donne – scoprii che si chiamavano Carmen e Patricia – e chiesi: “signore, ma perché stiamo ridendo?”
Carmen mi rispose: “ridiamo perché questa mattina mia figlia Patricia ha perso il lavoro, nella fabbrica in cui lavorava hanno scoperto che i suoi documenti erano falsi. Poi il padrone di casa ci ha dato lo sfratto”. E giù a ridere... Aquel punto, intervenne Patricia: “E senta quest’altra: abbiamo pagato mille dollari ciascuna per avere documenti in regola, ma il tipo che ce li doveva procurare è scappato”. Di fronte alla mia espressione stupita, ha aggiunto: “Ridiamo perché piangere senza ridere fa troppo male”.
Negli Stati Uniti ci sono 14 milioni di latinoamericani che vivono nella stessa situazione di Carmen e Patricia. Quando è uscito il romanzo, un immigrato che lo aveva acquistato su Amazon.com, mi ha scritto: come ha fatto a conoscere la storia della mia vita?
La conosco perché è anche la mia. Voglio essere la voce di tutti i latinoamericani che non hanno voce, lo considero come una missione.
Perché ha lasciato il Perù?
Per motivi politici. Nel 1965 ho fatto parte del Mir, il Movimento di Izquierda revolucionario: la guerriglia di Gulliermo Loboton e Luis de la Puente, un dissidente dell’Apra, l’Alleanza popolare rivoluzionaria americana di cui fa parte l’attuale presidente del Perù, Alan García.
Fin da giovanissimo mi sono sentito attratto da coloro che lottavano per la liberazione dell’umanità. Avevo letto i libri di Carlos Marategui e di Manuel González Prada, un pensatore anarchico di fi ne ‘800 che, prima di lui aveva messo in luce la centralità della questione indigena.
La rivoluzione cubana, allora, aveva fatto precipitare le contraddizioni all’interno dell’Apra, il partito di Víctor Raúl Haya de la Torre in cui avevo militato per un breve periodo.
Così ho scelto il terreno rivoluzionario, sulla scia del percorso cubano: una scelta eretica, pazza e generosa.
A 23 anni ero un dirigente del Mir. A Cuba, ero a capo di una delegazione internazionale di partiti, e conobbi Salvador Allende, futuro presidente del Cile, allora presidente del senato cileno. Ci incontrammo nella hall dell’albergo, dove alloggiavamo in due camere contigue. Lui aveva appuntamento con Regis Debray, io con Hilda Gadea Guevara, la prima moglie del Che, economista peruviana e dirigente dell’Apra. Allende mi pose domande sulla guerriglia peruviana e mi chiese se Luis de la Puente fosse morto combattendo, io glielo confermai. Lui, allora, parlò a lungo senza guardarmi, fi ssava un punto lontano, dietro di me. Disse che la storia la fanno anche gli sconfi tti. Gli chiesi: “compagno Allende, pensi che la nostra guerriglia sia destinata alla sconfitta, condividi la posizione dei partiti comunisti?”. Allende rispose: “in ogni caso, io sto tentando un’altra strada”. Gli domandai: “e se la tua strada fallisce?” E lui: “da uomo d’onore, me ne assumerò le conseguenze”.
Anni dopo, quando quell’esperienza di guerriglia era già conclusa e io insegnavo afl ’università di Cajamarca, nel nord del Perù, un poliziotto mi accusò di aver partecipato a un’azione armata.
Fui arrestato e condannato da un tribunale militare. Una mobilitazione internazionale, a cui partecitò anche Sartre, mi fece uscire di prigione. L’università di Berkeley mi invitò negli Stati uniti per una breve missione. Non rientrai più. Erano gli anni ‘90, quelli della dittatura di Fujimori.
Da allora in Perù ci sono state altre guerriglie. Quella guevarista dell’Mrta, il Movimiento revolucionario Tupac Amaru, si richiamava a voi. Cosa ne pensa?
Quando sono uscito dal paese, c’era un mandato di arresto per me, mi accusavano di far parte del Mrta. Non era vero, anche se il mio cuore è ancora con loro. Diversi miei amici sono ancora in prigione. Il romanzo che sta per uscire, Vallejo all’inferno, è dedicato al grande poeta Cesar Vallejo, che scontò il carcere per le sue idee, ma è anche dedicato ai prigionieri politici di oggi. Inferno è il nome di una sezione del carcere in cui vengono rinchiusi. Nel dicembre del ‘96, i guerriglieri dell’Mrta presero l’ambasciata giapponese, quattro mesi dopo si arresero e furono comunque trucidati. Hanno perso, ma erano rivoluzionari, non terroristi.
Oggi, invece, una lotta sociale seria è defi nita terrorismo. Negli Usa, il Primo maggio dell’anno scorso i lavoratori latinos hanno manifestato indossando camicie bianche e non rosse, per non essere criminalizzati.
Secondo certi mezzi di informazione, i migranti rubano lavoro ai nordamericani, invece pagano per avere l’assistenza sociale che poi non hanno. Adesso, per avere documenti in regola dovrebbero addirittura pagare 6.000 dollari, e poi tornare nel loro paese, aspettando di essere richiamati. Non ho più pendenze politiche, ma quando ho vinto il premio Intenacional latino de Novela, hanno scritto che dovevo tornarmene a casa. Molti torturatori trovano invece asilo negli Usa.
In cosa consiste il suo impegno di attivista?
Evito la letteratura light che mi farebbe entrare nei salotti della gente che conta, ma che non è la mia. Mi servo del passato come di una formidabile chiave letteraria. Tengo conferenze, voglio far capire ai latinoamericani che sono una forza immensa e che se i candidati non il rappresentano non devono votarli. Invio articoli a un’ampia lista di corrispondenti attraverso il Correo de Salem. Come docente, cerco di spiegare ai ragazzi che non devono diventare carne da macello nelle guerre di Bush.
Il suo romanzo
Valleio en los ínfiemos (di prossima pubblicazione da Gorée) sarà portato sugli schemi cinematografici dal regista peruviano Federico Garda e lei presiederà alle riprese. Quale paese ha ritrovato dopo anni di assenza?
La dittatura di Fujimori è finita solo sulla carta. Al governo c’è lo stesso
Alan García responsabile dei massacri nelle carceri, il vicepresidente è Luis Giampietri, un ex ufficiale di marina che li ordinò, e nei processi che dovevano far luce su quei fatti, il governo si è costituito parte civile assumendo la difesa degli uffi ciali accusati.
Quello che dico potrebbe valermi un’accusa per apologia di terrorismo, la legge antiterrorismo è ancora in vigore. Non so se davvero ci sia un ritorno della guerriglia di Sendero Luminoso, con cui già allora non mi trovavo d’accordo. Mi sembra che il governo cerchi di coprire la situazione esplosiva che esiste nelle miniere d’oro, il supersfruttamento, la gente che va a dormire con la fame, i disastri ambientali che hanno portato molte fi gure sociali a unirsi e a votare per Ollanta Humala.
Trent’anni fa, in Perù c’erano ancora padroni in portantina, trainati dai loro servi indios, a cui potevano tagliare la mano se li sorprendevano a rubare. La questione etnica è prima di tutto questione economica. In Bolivia, Evo Morales è indio ma è anche un socialista, in Perù Alexandro Toledo aveva solo il volto da indio, ma seguiva il neoliberismo di marca Usa. Per questo, gli indios non lo hanno votato. Il fi lm verrà girato a Trujllo, dove Vallejo ha studiato e dove sono nato: la prima città a liberarsi dalla Spagna. Tra il Re di Spagna e il presidente del Venezuela Hugo Chavez che non rispetta l’etichetta, io sto con Chavez.
Eduardo González Viaña, La ballata di Dante, pp. 318, Euro 18.00
Domenica 11 maggio, ore 11.30
Arena Piemonte
Eduardo González Viaña presenta La ballata di Dante
Interviene Antonio Melis
Dopo Torino: incontri con gli autori di Gorée
Mercoledì 14 maggio, ore 21 Firenze, Villa Bandini, via di Ripoli
Incontro con Eduardo González Viaña
Giovedì 15 maggio, ore 18 Lucca, Auditorium della Biblioteca Comunale Agorà, Piazza dei Servi
Incontro con José Luis Ayala ed Eduardo González Viaña
Venrdi 16 maggio, ore 18 San Gimignano, Piazza del Duomo, Loggia del Teatro dei Leggieri
Incontro con José Luis Ayala ed Eduardo González Viaña
Domenica 18 maggio, ore 21 San Gimignano, Teatro dei Leggieri
Cantando Vallejo
Reading dall’Opera poetica completa di César Vallejo
Musiche e danze peruviane
Spettacolo organizzato del Comune di San Gimignano e dall’Associazione Culturale Nuovi Orizzonti Latini partecipano Julio Montesinos, il Grupo Matices e Inti Raymi
Martedì 20 maggio, ore 18 Roma Libreria Odradek, Via dei Banchi Vecchi, 57
La Grande poesia ispanoamericana. L’opera poetica di César Vallejo
Sarà presente: Antonio Melis
In occasione del 70° della morte di César Vallejo
Le Edizioni Gorée e L’Associazione Culturale Nuovi Orizzonti Latini organizzano lo spettacolo
CANTANDO CÉSAR VALLEJO CON LA PARTECIPAZIONE DI TANIA LIBERTAD
Tania Libertad de Souza Zuniga nasce a Zaña sulla costa settentrionale del Perù da padre di ascendenze portoghesi e madre peruviana, ultima di nove fratelli, tutti maschi. Il luogo d’origine situato nella regione meglio conosciuta come Costa Negra perché abitata dai discendenti degli schiavi deportati dall’Africa contribuirà in maniera determinante ad infl uenzare il suo stile musicale. Comincia a cantare giovanissima dopo il trasferimento della famiglia a Chiclayo. All’età di cinque anni si esibisce per la prima volta in pubblico proponendo il “classico” bolero “Historia de un amor”. A 16 anni ha già un repertorio di oltre 300 canzoni che spaziano su tutta la tradizione popolare latino-americana. Successivamente incide il primo disco,”La contamanina”, che in breve tempo scala la hit–parade e la fa conoscere al grande pubblico del suo paese, mentre di lì a poco vince un importante festival con una canzone scritta per lei dal poeta peruviano
Juan Gonzalo Rose. L’assidua frequentazione con gli ambienti intellettuali la spinge ad approfondire la conoscenza della cultura afro-peruviana che costituirà la sua principale fonte di ispirazione musicale futura. A 21 anni lascia l’università e, nonostante i tentativi di dissuasione operati dalla famiglia, decide di seguire la sua vocazione artistica.
Invitata per un festival, parte per l’Avana, dove ha modo di entrare in contatto con importanti musicisti quali Omara Portuonndo, Víctor Jara, Zitarrosa, ma soprattutto di conoscere il genere musicale della nueva trova che le dà modo di iniziare a considerare differenti possibilità espressive. Nel 1978 si trasferisce in Messico, paese dove tuttora risiede, costituisce un proprio gruppo e si afferma defi nitivamente.
La sua carriera artistica costantemente alla ricerca di nuove scoperte – si defi nisce, infatti, “un interprete senza confi ni, soggetta solo alle emozioni e ai sentimenti” la porta a collaborare con artisti di diversa formazione come Cesar Camargo Mariano, Phil Manzanera, Djavan, Mercedes Sosa, Rúben Blades, Joan Manuel Serrat, Soledad Bravo, Pablo Milanés e molti altri.
Personalità di grande carisma, viene considerata una delle più grandi interpreti femminili del suo continente ed è defi nita la “regina del bolero” per la completezza del repertorio ma soprattutto per le tonalità della sua voce potente, ma anche calda e passionale.
Ha alle spalle 33 album incisi e milioni di copie vendute in tutto il mondo.
Le sue ultime fatiche discografi che sono: Costa Negra (2002), dove si esibisce in una serie di memorabili duetti con Cesaria Evora (“Historia de un amor”), Soda Mama (“Ritmo de negros”) e Ousmane Toure (“La mulata”); Momentos de amor (2004) e Negro color (2004).
Per il suo impegno a favore dei diritti civili e delle cause umanitarie, nel 1997, è stata nominata Ambasciatrice per la Pace dall’ UNESCO.
“La prima volta che ho sentito cantare Tania Libertad è stata la rivelazione delle più alte emozioni a cui solo una nuda voce ti può portare. Da sola di fronte al mondo, senza alcuno strumento ad accompagnarla. Tania cantava a cappella “La paloma” composta da Rafael Alberti, e ciascuna nota accarezzava una corda della mia sensibilità fi no a rapirmi.”
José Saramago
(…) “mezz’ora dopo Cortázar inserì nello stereo della macchina l’ultima cassetta di boleri di Tania Libertad (…). La genialità con cui la cantante peruviana rompeva con la tradizione della
nuova trova, dando l’impressione di non cantare boleri e allo stesso tempo avvolgendosi in essi come in un monumentale lenzuolo, convinse una volta per tutte il detective dell’assoluto trionfo dell’eclettismo”
(…).
Paco Ignazio II
Lunedì 12 maggio, ore 21 Sala Azzurra
Gorée e l’Ass. Culturale Nuovi Orizzonti Latini
organizzano:
Cantando Vallejo
Concerto di chiusura della Fiera Internazionale del Libro con la partecipazione di Tania Libertad
Reading dedicato a César Vallejo di cui Gorée presente
Opera poetica completa
Intervengono:
Eduardo González Viaña, José Luis Ayala e Antonio Melis
PUNTO DI VISTA
CONTRO L’ARIDITÀ DELL’ANIMA
INTERVISTA ALLA CANTANTE PERUVIANA TANIA LIBERTAD
«Zaña è un paese della costa nord del Perù, dove gli spagnoli pensarono di costruire la capitale del Paese. Oggi è un luogo di rovine, con case di fango, in mezzo al deserto e senza un po’ di verde. E’ terra, vento, ci sono bambini poveri sporchi di polvere, bambini grigi.
Lì sono nata ed ho vissuto fi no a un anno e mezzo di età. Dopo siamo andati a Chiclayo, anch’esso arido, dove abbiamo vissuto in un quartiere periferico della città. La mia casa si trovava a circa un isolato di distanza da un distributore di benzina e dalla strada, dove passavano i camion con la canna da zucchero verso i traffi ci. Il terreno rimaneva ricoperto di canna secca, ma anche di un miscuglio di olio, cherosene e ruote vecchie. era la stessa desolazione, terribile, come in un paesaggio postbellico.
Ho una foto di quella bambina grigia e mocciosa. Non porto le scarpe e indosso un vestito malridotto con la costura rotta, le treccine tenute da un fi lo perché avevo pochi capelli.
Mio padre, che era una guardia civile, lavorava fi no a sera; così anche mia madre, che lavorava nell’Ospedale Operaio. I miei sette fratelli maschietti ed io eravamo dei selvaggi. Sempre maschietti ed io eravamo dei selvaggi. Sempre fer terra, con il viso sporco e giocando con amici senza nome, come i fi gli del falegname o come quelli della cuoca.
Noi eravamo i fi gli dell’infermiera, nel mio quartiere non era necessario sapere di più.
Questo era l’ambiente in cui ho vissuto. L’aridità era di vario tipo: paesaggistica ed anche affettiva. Una ragazza della sierra era l’incaricata di farci crescere male, mi mandava a raccogliere di farci crescere male, mi mandava a raccogliere
Hsi mozziconi delle sigarette per terra, per Pooh fumarseli. Allora io pensavo che tutto il mondo fosse così, che nessun bambino avesse le scarpe, che il verde non esistesse e che ci fossero alcune cattive ragazze che fumavano.
A 16 anni ero già conosciuta come cantante, nella mia famiglia tutto girava intorno a me.
Siamo andati a Lima dove, oltre a cantare, studiai ingegneria della pescheria per pressione di mio padre. Ricordo i viaggi con i pescatori di Chorrillos. Studiavamo le risorse marine, le proprietà, le diverse specie. Quello fu il mio primo contatto con l’essenza di una parte della natura. Quando mancavano pochi mesi della natura. Quando mancavano pochi mesi aúlla fi ne della mia carriera, abbandonai, me ne andai di casa e mi dedicai pienamente all’arte.
Avevo 21 anni. La mia fanciullezza così arida mi spinse a costruire un mondo interno fecondo, poi ho allargato agli spazi esterni,
Chocome la mia casa, tutta piena di piante, di verde.
Inoltre sono molto affettuosa. Credo che la biodiversità comprenda tutti gli aspetti della la biodiversità comprenda tutti gli aspetti della tita di una persona. Perché, se siamo contaminati nello spirito e nell’anima, naturalmente contamineremo anche l’esterno.
A volte l’incoscienza porta a non rispettare il nostro ambiente, le strade sono piene di spazzatura, di rumore, di violenza... Stiamo perdendo i nostri paesi a causa dell’ambizione perdendo i nostri paesi a causa dell’ambizione sena limite. La crisi ambientale è legata al potere e alla superbia umana: quell’idea che non moriremo, gli altri sì - noi diciamo - ma noi no Bisogna imparare a rispettare la natura. Coloro Bisogna imparare a rispettare la natura. Coloro Cho hanno il potere dovrebbero preoccuparsi di cambiare la cultura del denaro che fa parte della società attuale. Mi preoccupa che si parli tanto ai poveri di democrazia. Per cosa?
Se non puoi mangiare, né viaggiare dove vuoi o comprarti i vestiti che ti piacciono. Non dico Cho dobbiamo vivere in una dittatura, certo, cal la democrazia senza benefi ci economici, sena cultura, istruzione, salute e giustizia, perché la vogliamo? Le nostre aspirazioni
*Tratto dall’intervista esclusiva di Tierramérica aúlla cantante peruviana.
Traduzione: Oscar Torres www.nuoviorizzontilatini.it
Sabato 10 maggio, ore 21Cortile del Maglio, Borgo Dora, Via Andreis, 18/10
Gorée e l’Associazione Culturale Nuovi Orizzonti Latini organizzano:
Tania Libertad in concerto
Reading dedicato a César Vallejo di cui Gorée presente
Opera poetica completa
Intervengono:
Eduardo González Viaña, José Luis Ayala e Antonio Melis
Le iniziative di Gorée (ci trovate allo stand K 134)
Sabato 10 maggio, ore 11.00 Arena Piemonte (Fiera del Libro, Lingotto)
José Luis Ayala, presenta Muyu pacha / Tempo circolare
Con l’autore interviene Riccardo Badini, dell’Università di Cagliari
Sabato 10 maggio, ore 17.00 Libreria Thérèse, Corso Belgio, 49/bis
Incontro con José Luis Ayala
Reading di poesie tratte da Muyu pacha / Tempo circolare
Sabato 10 maggio, ore 21.00 Cortile del Maglio, Via Andreis, 18/10
Gorée e l’Associazione Culturale Nuovi Orizzonti Latini organizzano:
Tania Libertad in concerto
Presentazione dell’Opera poetica completa di César Vallejo con reading di poesie a cui partecipano Eduardo González Viaña, José Luis Ayala e Antonio Melis.
Domenica 11 maggio, ore 11.30 Arena Piemonte (Fiera del Libro, Lingotto)
Eduardo González Viaña presenta La ballata di Dante
Con l’autore interviene Antonio Melis, dell’Università di Siena
Domenica 11 maggio, ore 18 Gran Balôn, Osteria del Balôn, Via Borgo Dora 28
Incontro con Eduardo González Viaña
Lunedì 12 maggio, ore 21 Sala Azzurra (Fiera del Libro, Lingotto)
Gorée e l’Associazione Culturale Nuovi Orizzonti Latini organizzano:
Cantando Vallejo
Concerto di chiusura della Fiera Internazionale del Libro di Torino con la partecipazione della cantante peruviana Tania Libertad
Reading dedicato a César Vallejo, e presentazione dell’Opera poetica completa
Intervengono: Eduardo González Viaña, José Luis Ayala e Antonio Melis
2
De: DR. ALMADA
Fecha: Domingo, 04 de Mayo de 2008 07:59 p.m.
Para: GACETILLAS ARGENTINAS - REDACCIÓN
Asunto: PCS BOLIVIA. REFERENDUM. UNA TRAICION A LA PATRIA...
Asunción, 4 de mayo de 2008
Señor:
Embajador de Bolivia
Dr. Marco Antonio Vidaurre
Asunción
ASUNTO . TRAICIÓN A LA PATRIA
Muy apreciado Embajador.
Hoy 4 de mayo, se recuerda en Paraguay el golpe de estado fascista del general Alfredo Stroessner en 1954 planificado desde Washington, que duró más de 35 años. Durante ese período, la tortura y luego el exilio se erigieron como sistema para permanecer en el Gobierno más corrupto y sangriento de la historia .El gobierno de Stroessner además, entregó nuestros recursos naturales, hidroeléctricas, para desarrollar la economía de nuestros "hermanos" brasileños y argentinos" del MERCOSUR, Itaipú y Yacyretá, para empobrecer y humillar a nuestro pueblo. UNA TRAICIÓN A LA PATRIA.
Hoy 4 de mayo de 2008, pasará en la historia de Bolivia como el día atentatorio a la unidad nacional y a la paz, también planificada desde Washington para que las empresas multinacionales sigan explotando los recursos naturales bolivianos, en especial el gas, sin olvidar la soja transgénica contaminante para seguir empobreciendo y humillando al noble y valiente pueblo boliviano.
UNA TRAICIÓN A LA PATRIA.
Todos los Códigos Penales de América Latina ,inspirados en la Revolución francesa, establecen en forma categórica que :"será castigado con veinte o treinta años de penitenciaria: 1) El ciudadano que tratare de someter a la República, o a parte de ella, a la soberanía de una nación extranjera. Si estos hechos fueren cometidos por funcionarios públicos o agentes del gobierno de la República, se les aplicará el maximum de las penas expresadas". Eso lo prevé también el artículo 137 del Código Penal paraguayo de 1914.
En mérito a estas consideraciones en mi condición de PREMIO NOBEL ALTERNATIVO DE LA PAZ y Miembro del COMITÉ EJECUTIVO DE LA ASOCIACIÓN AMERICANA DE JURISTAS (AAJ), vengo a apoyar la iniciativa de la justicia boliviana a la detención y enjuiciamiento de los instigadores de la sedición POR ALTA TRAICIÓN A LA PATRIA y por pretender además a la balcanización de la región.
Finalmente, por su intermedio saludo a Evo Morales, Presidente Constitucional de la República de Bolivia y a su pueblo multicultural y multiétnico que le acompaña en la lucha por la unidad y la paz no sólo en Bolivia sino en la Región de América Latina.
DR. MARTIN ALMADA
3
De: Raúl Wiener
Fecha: Domingo, 04 de Mayo de 2008 11:25 p.m.
Para: GACETILLAS ARGENTINAS - REDACCIÓN
Asunto: DERECHOS HUMANOS, POR RAÚL WIENER
Derechos Humanos
Para las organizaciones del llamado movimiento de derechos humanos que han tomado distancia de la carta de APRODEH al Parlamento Europeo, la “equivocación” de Soberón y los suyos, no está en la frase de que el MRTA no existe desde hace diez años, que nadie podría seriamente discutir, salvo Mauricio Mulder, sino en la forma como esa opinión puede interpretarse como una manera de favorecer al grupo subversivo.
Más o menos que no importa el absurdo de querer convertir el tema en el único punto de interés peruano sobre la resolución para la Cumbre de los presidentes de Europa y América Latina. Si quieren hacerlo, que lo hagan. Servirá para que recordemos que nadie debe tratar de volver a hacer lo que estos hicieron. Y ya veremos si esto trae algunas consecuencias internas respecto a la situación de los bolivarianos u otros casos, con un gobierno que pretexta terrorismo para reprimir a la gente (¿)
Algunos han escrito al respecto que el MRTA ha sido, es y será terrorista, no importa si existe o no, y cualquiera que sea la opinión actual de sus líderes sobre el proceso que vivieron en los 80 y 90. Lo que plantea el caso de los grupos subversivos de otros países que se han reintegrado a la vida política luego de procesos de negociación, en algunos casos en responsabilidades de gobierno, ¿siguen siendo terroristas en el sentido que se le da a esa palabra actualmente?, ¿si o no? Uno podría entender que el MRTA merece todo desprecio porque fue derrotado y no forma parte de la discusión actual, que es lo que permite que algunos comentaristas lo tomen en paquete con Sendero Luminoso: ellos iniciaron la guerra (aunque sus primeras acciones fueron en 1987) y fueron responsables del mayor número de muertes (aunque la CVR les asigne menos del 5% de las bajas).
No hay que olvidar que el caso Roque Gonzáles se arma sobre el supuesto que como fue condenado una vez en relación al MRTA, se le puede volver a detener con el cargo de lo que era antes, y no de lo que es hoy. Y peor aún, que otras personas también se hacen terroristas por haber viajado o haberse sonreído con él, como le ocurre a Melissa Patiño y cinco mujeres más, a las que la Policía y su vocero “La Ventana de la Dircote” que se emite cada lunes, no le han podido probar nada más.
En privado varios dirigentes de las organizaciones de derechos humanos se han quejado que APRODEH ha puesto en riesgo ni más ni menos que el juicio a Fujimori. Lo que equivale a imaginar este proceso como un reflejo de lo que hacemos fuera de él, es decir si nos mantenemos en el justo medio y evitamos hablar de más. Pero eso es ofensivo para los jueces que si no se dejan influir por el factor político (el gobierno busca salvar al ex dictador) tendrán que sopesar la evidencia de los crímenes, los autores y las líneas de mando que comprometen directamente a Fujimori.
Lo esencial es que en torno a la iniciativa del gobierno ante el Parlamento Europeo y la carta de APRODEH, lo que hemos aprendido es que en nuestro país todavía hay muchos que creen que no estamos preparados para hablar con la verdad en temas delicados como el balance de a guerra interna.
04.05.08
GACETILLAS ARGENTINAS - REDACCION
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